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Il Carsismo e la Ricerca Speleologica in Sardegna
Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano
Cagliari
F.S.S. S.S.I.
Convegno di Studio
Il Carsismo
e la Ricerca Speleologica
in Sardegna
Cagliari, 23-25 Novembre 2001
Dipartimento di Scienze della Terra
Università degli Studi di Cagliari
Via Trentino 51
RIASSUNTI
Organizzato in occasione del 25° anniversario del
Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano
Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano
Cagliari
F.S.S. S.S.I.
Convegno di Studio
Il Carsismo
e la Ricerca Speleologica
in Sardegna
Cagliari, 23-25 Novembre 2001
Dipartimento di Scienze della Terra
Università degli Studi di Cagliari
Via Trentino 51
RIASSUNTI
Organizzato in occasione del 25° anniversario del
Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano
VENERDI 23 NOVEMBRE 2001
Ore 16:00
Cavità naturali e grotticelle artificiali della preistoria cagliaritana.
Enrico Atzeni
Ore 16:20
L’uso antropico delle grotte naturali nella Preistoria sarda.
Giuseppina Tanda
Ore 16:40
L’acquedotto romano di Cagliari.
Donatella Salvi
Ore 17:00
Cagliari sotterranea: la grotta di Santu Lemu.
Marcello Polastri
Ore 17:40
Il dibattito sull’ origine dell’ acquedotto romano di Cagliari e lo scavo del 1846 nel pozzo dell’ Orto dei Cappuccini.
Antonello Fruttu
Ore 18:00
L’acquedotto romano di Karales: proposte per una nuova lettura nell’ambito della speleologia urbana.
Marcello Polastri, Antonello Floris
Ore 18:20
L’acquedotto romano di Cagliari: una imponente opera di ingegneria idraulica e mineraria.
Gaetano Ranieri
CAVITÀ NATURALI E GROTTICELLE ARTIFICIALI DELLA PREISTORIA CAGLIARITANA
Enrico Atzeni
Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche, Piazza Arsenale, 8 – Cittadella dei Musei – 09100 Cagliari. E.mail: atzeni@unica.it
Straordinari archivi scientifici del sottosuolo, le cavità carsiche cagliaritane ancora attendono e l’esaustiva esplorazione speleologica e una più approfondita e pianificata indagine archeologica.
Per le preziose testimonianze paletnologiche rese già dalla fine dell’ 800 rimangono celebri nei periferici quartieri geografici, al centro del Golfo aperto ai più antichi traffici marittimi mediterranei, le caverne del Capo Sant’Elia, risalenti con preziose sequenze culturali fino al VI millennio a.C. nelle grotte di Sant’Elia, di San Bartolomeo e del Bagno Penale.
Riconducono a fasi del III millennio a.C. e più direttamente a monte della civiltà nuragica, di cui attestano preziose e inedite matrici, le particolari tipologie delle grotticelle funerarie artificiali di cultura Monte Claro, ormai inserite nel cuore dell’area urbana, distribuite per largo raggio fra il colle eponimo e i prospicienti rioni di La Vega e Is Mirrionis.
Se ne richiamano e aggiornano sul progresso della ricerca, con pur breve relazione illustrativa, gli inquadramenti storico-culturali.
L’USO ANTROPICO DELLE GROTTE NATURALI NELLA PREISTORIA SARDA
Giuseppa Tanda.
Dipartimento di Scienze Archeologiche e Storico-artistiche, Piazza Arsenale, 8 – Cittadella dei Musei – 09100 Cagliari. E.mail: gtanda@unica.it
L’uso antropico delle grotte carsiche, cominciato, forse, durante il Paleolitico medio (grotte di Ziu Santoru e di Cala Illune, 100.000/35.000 a. C.; mancano completamente i dati sul Paleolitico inferiore), è documentato con certezza a partire dal Paleolitico superiore, a grotta Corbeddu di Oliena (13.000 a.C. circa).
Durante il Neolitico antico (5500-3900 a.C.), l’Uomo continua ad utilizzare le cavità naturali per scopi abitativi, ma si insedia anche in villaggi all ‘aperto (Calancoi-Sassari ecc.). Le Grotte, inoltre, diventano anche luoghi di culto o di sepoltura (Grotta Verde, Alghero).
L’uso non esclusivo e con funzioni plurime continua durante il Neolitico medio.
Nel Neolitico recente (cultura Ozieri, 3300-2500 a.C.), presumibilmente per il forte incremento demografico, i villaggi all’aperto risultano prevalere sugli abitati in grotta, che rivelano medesimi caratteri e funzioni.
L’uso interno dello spazio, nel lungo arco di tempo, varia in relazione alle diverse funzioni del nucleo umano residente, come suggerirebbero le aree di culto e di sepoltura individuate, grazie ad alcuni “segni” osservati, come i resti di sepolture, le steli, le incisioni e le pitture, e le aree di lavoro, di cottura dei cibi, di conservazione delle derrate, di smaltimento dei rifiuti.
In nessun caso, però, a quanto è finora noto, si arriva a modificazioni strutturali apprezzabili delle cavità.
L’ACQUEDOTTO ROMANO DI CAGLIARI
Donatella Salvi
Soprintendenza Archeologica per le Province di Cagliari e Oristano, Piazza Indipendenza, 7 09100 Cagliari
E’ ormai da più di dieci anni che, grazie alla collaborazione instaurata fra la soprintendenza archeologica di Cagliari ed il Gruppo Speleo Archeologico G. Spano, l’acquedotto romano di Cagliari è sottoposto ad una sorta di monitoraggio che consente di aggiornare i dati acquisiti con le nuove scoperte.
Prima di noi M.Elena Ledda ha tracciato la strada, affrontando sulla base delle poche testimonianze allora disponibili la difficile ma stimolante ricostruzione del percorso segnato dai romani per approvvigionare la città di acqua di sorgente, superando la precarietà delle riserve in cisterne individuali che aveva caratterizzato i secoli precedenti.
Di questi studi, e dei risultati di volta in volta raggiunti, si è parlato in occasioni e sedi diverse ed in particolare nei convegni scientifici che si sono svolti a Porano, nel 1988, dal titolo “Geofisica per l’archeologia” e a Roma, nel 1989, nel “Convegno Nazionale di Archeologia Subacquea”.
Pur nei molti dubbi e perplessità che derivano dallo studio è auspicabile che l’impegno di tutti restituisca alla conoscenza una delle più impegnative opere pubbliche realizzate in Sardegna in età romana che ebbe un tempo piuttosto contenuto di uso effettivo, fu ignorata nella sua funzione fin dall’altomedioevo e si conservò praticamente intatta almeno fino alla metà dell’Ottocento.
CAGLIARI SOTTERRANEA: LA GROTTA DI SANTU LEMU
Marcello Polastri
Gruppo speleo-archeologico Cavità Cagliaritane (GCC), via Maglias – 09100 Cagliari.
E-mail: ggcagl@tiscalinet.it
Analisi di un vasto insediamento rupestre nella “Fossa di San Guglielmo”, attraverso l’indagine esplorativa, la ricerca archivistica e gli articoli di cronaca rapportati alle recenti acquisizioni lette “in situ”.
IL DIBATTITO SULL’ ORIGINE DELL’ ACQUEDOTTO ROMANO DI CAGLIARI E LO SCAVO DEL 1846 NEL POZZO DELL’ ORTO DEI CAPPUCCINI.
Antonello Fruttu
Centro Studi Ipogei – Gruppo Speleologico Specus, Via Santa Gilla 115, 09100 Cagliari
E-mail: antonio.fruttu@tiscali.it
Nel luglio del 1846, in una Cagliari più che mai afflitta dal cronico problema della sete, attraverso alcuni articoli sull’ “Indicatore Sardo”, l’architetto Efisio Luigi Tocco contestava la teoria che l’acquedotto di Cagliari provenisse da Domusnovas e ne attribuiva la provenienza da alcune sorgenti in agro di Sicci di Dolianova. A suo giudizio l’acquedotto era costruito ad una notevole profondità sotto terra, e sia i serbatoi a monte sia il percorso di una ventina di chilometri fino a Cagliari erano ancora integri e pieni d’acqua. Il Tocco presumeva anche di identificare uno degli sfiatatoi dell’antico acquedotto in un antico pozzo presente nell’ Orto dei Cappuccini ed usato da secoli per l’approvvigionamento idrico del convento di Sant’Antonio, e sul cui fondo era nota la presenza di un grande lastrone di pietra e di una canalizzazione. Il Vicerè, sollecitato dal Tocco, mise a disposizione mezzi e soldati per la completa pulizia del pozzo, il sollevamento della grande pietra e la ricognizione dell’ipotetico canale. Dopo cinque giorni di lavoro per il prosciugamento del fondo, la pietra venne sollevata con grande spiegamento di mezzi, uomini e cavalli. A quel punto il presunto canale si rivelò soltanto una breve diramazione laterale per intercettare meglio l’acqua di falda, e dell’ ipotetico acquedotto non risultò traccia. Ne seguirono feroci polemiche, a cui diedero il loro contributo anche l’Angius, il Pascalet ed il Lamarmora. L’intera faccenda si concluse curiosamente con una controversia giudiziaria intentata dall’amministrazione piemontese per farsi rimborsare le spese della ricerca.
L’ACQUEDOTTO ROMANO DI KARALES: PROPOSTE PER UNA NUOVA LETTURA NELL’AMBITO DELLA SPELEOLOGIA URBANA
Marcello Polastri e Antonello Floris
Gruppo speleo-archeologico Cavità Cagliaritane (GCC), circolo speleologico “Sesamo 2000”- Cagliari. E-mail: ggcagl@tiscalinet.it
L’Acquedotto romano di Karales, fin da tempi assai remoti, ha indotto uomini e ricercatori a fantasticare sulla sua antica origine, oggi resa percepibile solo dalla presenza di pozzi, condotti, labili avanzi in muratura fuori dall’abitato cagliaritano. Le prospezioni speleologiche effettuate in questi ultimi anni sulla scia dei memorialismi esistenti, sulle relazioni degli scavi scientifici degli archeologici, hanno appurato che questa formidabile opera, riserva ancora interessanti sorprese che stupiscono l’uomo per l’ingegnosità dei sistemi di approvvigionamento idrico in una Cagliari romana, allora come oggi assetata.
Il lavoro del Gruppo speleo-archeologico Cavità Cagliaritane che da alcuni lustri indaga il sottosuolo del capoluogo isolano, vuole sensibilizzare un ampio pubblico, esperto e non, sulla effettiva importanza dell’acquedotto di Karales.
L’ACQUEDOTTO ROMANO DI CAGLIARI: UNA IMPONENTE OPERA DI INGEGNERIA IDRAULICA E MINERARIA.
Gaetano Ranieri
Università di Cagliari – Facoltà di Ingegneria, Piazza d’Armi, 09127 Cagliari.
E-mail: granieri@unica.it
L’acquedotto romano di Cagliari non rappresenta solo uno dei più bei monumenti di Cagliari, ma anche una delle più belle opere di ingegneria mineraria e idraulica esistenti al mondo.
L’acquedotto consta di tre parti: una prima, extra urbana che deve necessariamente comprendere le opere di captazione , un percorso aereo per l’attraversamento del Rio Cixerri e del Rio Mannu, un percorso sotterraneo attraverso formazioni geologiche ora compatte e dure, ora plastiche e poco resistenti; una seconda all’interno dell’attuale città, con pozzi di accesso e impianti di sollevamento; una terza per la distribuzione dell’acqua all’interno della città di allora con diramazioni verso le terme e cisterne o con apporti da rami secondari.
Nella presente nota vengono presentate alcune considerazioni tecniche e alcuni rilievi, che consentano di formulare ipotesi sia sulla provenienza dell’acqua che sul percorso cittadino. Vengono inoltre proposte testimonianze della capacità costruttiva dell’epoca.
SABATO 24 NOVEMBRE 2001
Ore 9:00
GSB/USB (1989/1999): Dieci anni di ricerche speleologiche in terra sarda.
Graziano Agolini
Ore 9:20
Le escursioni speleologiche del C.I.R.S. in Sardegna negli anni 1975-76-77.
Rosario Ruggieri
Ore 9:40
Le campagne speleologiche del gruppo triestino speleologi in Sardegna (1971-1979).
Gianni Benedetti, Mila Bottegal
Ore 10:00
Speleological survey of the Baunei coast and the Utopia cave.
Markus Schafheutle, Herbert Jantschke, Philip Lawo, Michael Kühn, Andreas Kücha
Ore 10:20
La grotta delle Lumache di Buggerru: risultati preliminari del monitoraggio ambientale e delle ricerche scientifiche finalizzati alla definizione del livello di fruibilità compatibile.
Mauro Chiesi, Arrigo Cigna, Antonio Fadda, Paolo Forti, Giuseppe Grafitti, Francesco Murgia, Angelo Naseddu
Ore 10:40
Esempi di gestione, monitoraggio e tutela di cavita’ carsiche in Andalusia e in Sardegna.
José Maria Calaforra, Antonio Pulido Bosch, Jo De Waele, Felice Di Gregorio, Francisco Sánchez Martos, Angel Fernández Cortés
Ore 11:20
Nota preliminare sulle ricerche archeologiche nella grotta Ulari di Borutta (SS).
Giovanna Maria Meloni, Maria Luisa Salis
Ore 11:40
Geochimica delle acque e mineralogia nella grotta di Is Zuddas (Santadi, Sardegna SW).
Jo De Waele, Franco Frau, Mario Lorrai
Ore 12:00
La grotta di Monte Meana (Santadi, Sardegna SW).
Andrea Gaviano, Giuseppe Piras, Valeria Paretta
Ore 12:20
Gli scavi nelle grotte I e II di Monte Crasta-Osilo. Nota preliminare.
Giuseppina Marras, Giovanna Maria Meloni
Ore 12:40
Carsismo nel comune di Villaputzu (Sarrabus, SE).
Lavinia Congiu, Antonio Trogu
GRUPPO SPELEOLOGICO BOLOGNESE E UNIONE SPELEOLOGICA BOLOGNESE (1989/1999) DIECI ANNI DI RICERCHE SPELEOLOGICHE IN SARDEGNA
Graziano Agolini
Gruppo Speleologico Bolognese/Unione Speleologica Bolognese, Cassero di Porta Lame, Piazza VII Novembre 1944, n°7, 40122 Bologna. E-mail: agoline@tiscali.it
Per i Gruppi Speleologici di Bologna GSB/USB la Sardegna ha da sempre rivestito un fascino ed un interesse particolare. Purtroppo la lontananza ci ha sempre costretto a effettuare campi di ricerca speleologica della durata di pochi giorni.
Qui, riassumo molto brevemente i risultati ottenuti dalle nostre ricerche negli ultimi dieci anni.
Il risultato più eclatante è stato senza dubbio ottenuto nel 1989 con il superamento della strettoia iniziale e la relativa scoperta del sistema ipogeo di Su Clovu nella Piana di Otzio (Supramonte di Urzulei e Baunei). La grotta, che si apre nelle dolomie e si sviluppa quasi completamente in tale formazione, è bella e interessantissima per lo studio dell’idrologia della zona. La frana nella grande sala terminale rappresenta un enigma esplorativo ancora insoluto. Lo sviluppo spaziale è di quasi 1800m (-138m) (ril.).
Allo stesso sistema ma non in comunicazione umana fa parte la grotta di punta Letzo esplorata l¹anno successivo (1990). La cavità che si rivela già parzialmente visitata dal C.S.C., presenta notevoli analogie morfologiche con la vicina Su Clovu. Sono svolti diversi tentativi per trovarne la congiunzione ma con scarso successo. Lo sviluppo di questa grotta è di 437m (-46m) (ril.).
Nel 1994 spostiamo la nostra attenzione al Supramonte di Orgosolo. Qui i nostri ambiziosi progetti di ricercare grotte nelle aree carsiche nei pressi di Campo Donanigoro, sono ridimensionati dalle difficoltà d¹ordine logistico. Concentreremo così, il lavoro più vicino al nostro campo base e in località Su Mudercu troviamo un paio di grotte: Buca del Campo (-69m) (ril.) e la Nurra del Perro (-41m) (ril.). Restiamo ad ogni modo colpiti dal potenziale esplorativo della zona.
Nel 1998 siamo di nuovo nel Supramonte di Baunei e precisamente a Campo Esone. Altipiano compreso fra la Codula di Luna e la dorsale, formata dalle cime di S’Arcu sa Nurradi, di Punta Mureddu e Punta Caccao, che parte da Turusele. In quest’altipiano calcareo cerchiamo, con un po’ di presunzione, la via alta al complesso di Su Palu. Dopo una settimana di battute sotto una costante pioggia dobbiamo accontentarci di due piccole cavità: Grotta di Costa Esone (-17m) (ril.) e Grotta di Punta Mureddu (-24m) (ril.)
Nel 1999 torniamo a Su Clovu con l’intento di trovare un passaggio per andare oltre la frana terminale, ma con scarso successo. Vengono anche esplorate vie alte, lungo il percorso principale. Si trovano ambienti riccamente concrezionati, ma che riportano tutte in zone già note.
All¹esterno sono effettuate perlustrazioni in località Gillové, Scorrodine e la dolina Dolimasio, ma si rinvengono poche cavità degne di nota: Su Pacco (-18m) (1 ril.).
In località Serra Cungiada, distante 2 km dalla P. di Otzio, troviamo due cavità: la grotta del Tridente (-50m) (ril.) e il pozzo presso Genna Selole (-17m) (ril.)
LE ESCURSIONI SPELEOLOGICHE DEL C.I.R.S. IN SARDEGNA NEGLI ANNI 1975-76-77
Rosario Ruggieri
Centro Ibleo di Ricerche Speleo-Idrogeologiche — c/o Genio Civile di Ragusa, Via Natalelli 97100 Ragusa: E-mail: cirsggr@inwind.it
Amore a prima vista fra il C.I.R.S. e la Sardegna risalente al 1975 quando con il primo campo, organizzato nell’Iglesiente, ospiti del Gruppo di Domusnovas, si esplora la Voragine Gasparro e si visitano alcune grotte della zona (Torpado e Cuccuru Tiria). Toccati oramai dal mal di Sardegna, dalla bellezza del paesaggio e dalle sue meravigliose grotte, si ritorna nel 1976 con un campo nel Nuorese per la traversata della San Giovanni Su Anzu, l’esplorazione di alcuni rami della grotta allora chiamata del Fusarium (Sos Jocos) e la discesa della Voragine del Golgo, forse per la prima volta con le tecniche di sola corda. Quindi, ancora nel Nuorese nel 1977 per la Su Bentu e la Elighes Artas e nell’Iglesiente per una seconda discesa nella Voragine Gasparro.
LE CAMPAGNE SPELEOLOGICHE DEL GRUPPO TRIESTINO SPELEOLOGI IN SARDEGNA (1971-1979)
Gianni Benedetti, Mila Bottegal
Gruppo Triestino Speleologi, via Settefontane 44/A, 34141 Trieste. E-mail: bengi@4u.net
Nel presente lavoro vengono illustrate le sette spedizioni che il Gruppo Triestino Speleologi di Trieste ha effettuato in terra sarda (area del Sulcis-Iglesiente e del Salto di Quirra) dal 1971 al 1979. I risultati di queste campagne esplorative sono stati resi noti attraverso alcune pubblicazioni (Bollettino del GTS, Atti di Convegni nazionali, ecc.) ma diversi rilievi e ricerche sono ancora inedite e vengono qui brevemente esposte.
SPELEOLOGICAL SURVEY OF THE BAUNEI COAST AND THE UTOPIA CAVE
Markus Schafheutle*, Herbert Jantschke**, Philip Lawo**, Michael Kühn**, Andreas Kücha**
* Mariatrosterstr. 247, A-8044 Graz. E-mail: familie.schafheutle@netway.at
**Hohlenforschergruppe Kirchheim, Germania.
Since the year 1992 the Höhlenforschergruppe Kirchheim is investigating the Baunei coast of Sardinia. During the years, this group was enlarged by other individuals. A little north of Pedra Lunga the limestone, establishing the coast line of the Golfo di Orosei, reaches the Mediterranean sea level. Nearby is the famous Grotta dei Colombi. This was the starting point of our investigations.
In the meantime we swum and dove the whole rocky coastline between the surface of the sea and the beginning of the sandy ground up to the area called Cala Sisine. A little southward of that point, the Grotta del Fico is situated. During these dives all caves we found were documented by a precise survey. 66 caves are surveyed and described. This yields a cave density of about 5 caves per kilometre of coastline or about 600 m of galleries per kilometre of coastline.
The biggest karst complex found in this area is the Grotta della Utopia. This cave is explored and surveyed up to more than 3 km of total gallery length and the furthest point reached and surveyed is more than 2 kilometres away from the entrance. Including to the documentation of Utopia in the Punta Mudaloro mountain, a survey and a precise correlation to the other caves were also performed.
This paper deals with the under water exploration work and its results. It correlates them with other geological findings of the plateau behind the coastal mountains and its karstic objects.
LA GROTTA DELLE LUMACHE DI BUGGERRU (SA/CA 1827): RISULTATI PRELIMINARI DEL MONITORAGGIO AMBIENTALE E DELLE RICERCHE SCIENTIFICHE FINALIZZATI ALLA DEFINIZIONE DEL LIVELLO DI FRUIBILITÀ COMPATIBILE.
Mauro Chiesi*, Arrigo Cigna*, Antonio Fadda**, Paolo Forti**, Giuseppe Grafitti°, Francesco Murgia°°, Angelo Naseddu*
* Società Speleologica Italiana, Via Zamboni 67 – 40122 Bologna.
E-mail: chiesim@tin.it
** Istituto Italiano di Speleologia, Via Zamboni 67 – 40122 Bologna.
E-mail: forti@geomin.unibo.it
° Gruppo Speleologico Sassarese, Via dei Navigatori 7, 07100 Sassari.
E-mail: ggfranc@tiscalinet.it
°° Federazione Speleologica Sarda, Corso Vittorio Emanuele 129 – 09124 Cagliari.
E-mail: rainman133@hotmail.com
Da alcuni anni la Società Speleologica Italiana è impegnata ad impedire che una cavità venga adattata al turismo sotterraneo senza che prima siano effettuati tutti gli studi necessari a definirne le caratteristiche intrinseche in maniera, da un lato, da garantire la sua totale salvaguardia (qualora sia possibile e attuabile il suo adattamento turistico) e dall’altro da fornire elementi utili per definirne i livelli di fruibilità che meglio si adattano alle peculiarità della grotta, definendone nel contempo anche i maggiori motivi di interesse scientifico-didattico.
Lo studio climatico della grotta delle Lumache ha evidenziato come la circolazione d’aria tra l’interno e l’esterno sia praticamente assente e gli apporti idrici siano esclusivamente dovuti all’infiltrazione delle acque piovane; ciononostante la grotta ha un apporto energetico abbastanza ampio a causa dell’irraggiamento solare, dato che la grotta è assolutamente epidermica. Questo fatto permette di ipotizzarne una frequentazione turistico-didattica leggera (30-50 persone/giorno) senza che i parametri ambientali della cavità escano dalle oscillazioni naturali annue.
Tra i risultati più importanti delle ricerche scientifiche effettuate al suo interno ci sono gli studi sulla paleosismicità, sull’ecosistema sotterraneo e sulla frequentazione antica.
Nel presente lavoro tutti i dati ottenuti dal monitoraggio ambientale e dalle ricerche scientifiche vengono brevemente discussi anche e soprattutto dal punto di vista della possibile ottimale fruizione turistico-didattica della grotta, che si inserirà nel più ampio percorso di offerta turistica alternativa che il Parco Geominerario Storico e Ambientale della Sardegna va delineando.
ESEMPI DI GESTIONE, MONITORAGGIO E TUTELA DI CAVITA’ CARSICHE IN ANDALUSIA E IN SARDEGNA
José Maria Calaforra*, Antonio Pulido Bosch*, Jo De Waele**, Felice Di Gregorio**, Francisco Sánchez Martos* , Angel Fernández Cortés*
*Departamento de Hidrogeologia y Quimica Analitica, Universidad de Almeria (Espana), La Canada – 04120 Almeria. E-mail: apulido@ual.es
** Dipartimento di Scienze della Terra, Via Trentino 51 – 09127 Cagliari.
E-mail: geoam@unica.it
Negli ultimi anni, in tutti i Paesi europei, c’è un interesse crescente per la tutela delle cavità carsiche, sia per il loro interesse naturalistico e scientifico sia per le attese delle comunità locali in vista di una loro possibile valorizzazione turistico-culturale.
Ricercatori e speleologi hanno ormai maturato esperienze consolidate, sotto il profilo metodologico ed applicativo, per la conoscenza di questi peculiari ecosistemi del sottosuolo. Mentre, lo sviluppo di nuove tecnologie, con strumenti di analisi sempre più sofisticati e sistemi di sensori connessi in rete, consente di effettuare un monitoraggio puntuale ed accurato degli indicatori ambientali che ne controllano i delicati equilibri.
Anche sotto il profilo gestionale esistono ormai esperienze consolidate tali da offrire garanzie per la corretta fruizione e la conservazione del patrimonio carsico ipogeo.
Tuttavia è necessario che questo bagaglio di conoscenze e di esperienze divenga patrimonio diffuso e condiviso, sia per migliorare la qualità della fruizione e garantire la conservazione delle grotte aperte al pubblico sia per prevenire o contenere l’impatto ambientale nelle grotte in via di valorizzazione.
A questo scopo, gli Autori hanno voluto mettere a confronto lo stato delle conoscenze, il tipo di equipaggiamento, le modalità di gestione e i sistemi di monitoraggio adottati in alcune grotte dell’Andalusia con quelli della Sardegna per ricavare suggerimenti utili alla corretta fruizione ed alla conservazione del patrimonio carsico.
- Lavoro realizzato nell’ambito del Progetto “Azioni integrate Italia Spagna 2000”, col contributo del Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, responsabili scientifici Prof. F. Di Gregorio e Prof. A. Pulido Bosch, e il Progetto 1FD97-1577 mediante il CICYT ed i fondi FEDER dell’Unione Europea.
NOTA PRELIMINARE SULLE RICERCHE ARCHEOLOGICHE NELLA GROTTA SA ROCCA ULARI DI BORUTTA (SS)
Giovanna Maria Meloni*, Maria Luisa Salis**
* Dipartimento di Scienze Umanistiche e dell’Antichità-Università degli Studi di Sassari
** Collaboratore esterno Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro
La grotta Sa Rocca Ulari, aperta nel rilievo calcareo sottostante il monastero benedettino di San Pietro di Sorres, costituisce uno dei più importanti insediamenti in grotta di età prenuragica del nord Sardegna. La cavità si inserisce, infatti, in un complesso sistema di grotte di origine carsica abitate dall’uomo fin dall’età prenuragica. Sono comprese in questo sistema le note grotte di Sa Ucca de su Tintirriolu e Filiestru a Mara, le grotte di Monte Maiore e su Idighinzu a Thiesi, la gotta Badde a Pozzomaggiore e diverse cavità del territorio di Cossoine.
La grotta Sa Rocca Ulari è stata oggetto, nei mesi di gennaio-maggio 2001, di una indagine archeologica effettuata dalle scriventi, nell’ambito di un progetto di valorizzazione e studio delle risorse archeologiche del comune di Borutta, per conto della Soprintendenza Archeologica per le Province di Sassari e Nuoro. Si tratta del primo intervento di natura scientifica svolto all’interno della grotta, da decenni oggetto di indiscriminati interventi di scavo clandestino e di ripetute “ricerche di superficie” che hanno irrimediabilmente sconvolto, in ampi tratti, il deposito archeologico.
Nel contributo si intendono presentare, seppur in forma preliminare, i dati emersi nel corso dei lavori.
Importanti risultati ed informazioni sono scaturiti dal saggio di scavo archeologico effettuato nella prima sala della grotta, prospiciente l’ingresso. La sistemazione delle buche clandestine, inoltre, effettuata in seguito ad una puntuale documentazione fotografica e grafica, ha permesso il recupero di numerosi materiali ceramici e litici, oltre a resti osteologici, che permettono una prima lettura dell’utilizzo degli spazi all’interno dell’anfratto, della tipologia di insediamento e soprattutto consentono di trarre delle conclusioni, seppur non suffragate da dati stratigrafici, sulle fasi di frequentazione dell’anfratto.
L’applicazione del modello di ricerca territoriale anglossassone noto come “site catchment analysis”, volto a determinare le potenzialità produttive del sito, associato ai dati di scavo, permetterà, inoltre, di fare delle ipotesi sull’economia dell’area della grotta in età preistorica.
GEOCHIMICA DELLE ACQUE E MINERALOGIA NELLA GROTTA DI IS ZUDDAS (SANTADI, SARDEGNA SUD-OCCIDENTALE)
Jo De Waele°*, Franco Frau°**, Mario Lorrai°***
°Dipartimento di Scienze della Terra, Via Trentino 51 – 09127 Cagliari
Tel.: 070 6757778 – Fax 070 282236. E-mail: geoam@unica.it
*Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano Cagliari – Via Sassari 73 – 09124 Cagliari
** E-mail: frauf@unica.it
*** E-mail: geochim@unica.it
Da anni il Dipartimento di Scienze della Terra sta conducendo indagini geo-ambientali nel Complesso carsico di Is Zuddas, ubicato nelle dolomie cambriche di Monte Meana a Santadi (Sardegna sud-occidentale), volte soprattutto al monitoraggio in continuo dei parametri chimico-fisici degli ambienti ipogei influenzati, oltre che da processi naturali, da flussi turistici in particolare nei mesi primaverili ed estivi.
Nel corso del 2000 sono stati effettuati alcuni campionamenti sia di cristallizzazioni ed incrostazioni, sia di acque di stillicidio e di ristagno.
Le fasi minerali sono state analizzate tramite diffrattometro di raggi-X per polveri ed, in alcuni casi, microscopio elettronico a scansione con sistema di analisi chimica a dispersione di energia (SEM/EDS).
Le acque invece sono state analizzate con l’impiego della cromatografia liquida (HPLC) per la parte anionica, e con diverse tecniche spettroscopiche (ICP-OES, ICP-MS) per la parte cationica. Sul luogo di campionamento sono stati misurati i parametri chimico-fisici soggetti a variazioni come temperatura, pH, Eh, conducibilità ed alcalinità.
Oltre ad una interpretazione di questi primi risultati mineralogici e geochimici si descrivono i vari depositi chimici e fisici della grotta.
LA GROTTA DI MONTE MEANA (SANTADI, SARDEGNA SUD-OCCIDENTALE)
Andrea Gaviano, Valeria Paretta, Giuseppe Piras
Centro Studi Ipogei Specus, Via Santa Gilla 115 – 09100 CAGLIARI. E-mail: Andrea_Gaviano@provincia.cagliari.it
Vengono descritti i risultati delle ricerche speleologiche condotte nel triennio 1995-98 dal Gruppo Speleologico C.S.I. “Specus” presso il colle di Monte Meana (236 m s.l.m.), sito a pochi km dalla cittadina di Santadi (Sardegna sud-occidentale), che hanno portato alla esplorazione della cavità carsica denominata Monte Meana, formatasi negli stessi calcari cambrici nei quali si è sviluppata la ben più nota Grotta di Is Zuddas.
In particolare, Grotta di Monte Meana viene qui descritta nelle varie fasi legate all’attività di esplorazione, alla tecnica di progressione e di rilievo, che ha permesso la restituzione grafica dell’ipogeo.
Della grotta viene fornita la descrizione geologica e geomorfologica, ipogea ed epigea, con inquadramento della stessa nell’ambito del fenomeno carsico che ha interessato, in maniera considerevole, questo settore e, genericamente, tutta la Sardegna sud-occidentale.
La cavità di Monte Meana è ben nota, inoltre, per l’importanza archeologica, grazie al ritrovamento di manufatti e testimonianze al suo interno, che evidenziano la presenza dell’antica civiltà sarda, a partite dal Neolitico. Per tale motivo vengono trattati anche gli aspetti storico-archeologici contenuti nella cavità, dei quali vengono forniti i lineamenti essenziali.
GLI SCAVI NELLE GROTTE I E II DI MONTE CRASTA-OSILO. NOTA PRELIMINARE.
Giuseppina Marras e Giovanna Maria Meloni
Dipartimento di Scienze Umanistiche e dell’Antichità – Università di Sassari
Il Monte Crasta, nell’area centro-occidentale del territorio comunale di Osilo, si presenta come un’altura a sommità tabulare a fianchi ripidi, difficilmente accessibile su tutti i versanti.
Nei versanti orientale ed occidentale si aprono rispettivamente le Grotte I e II, interessate negli anni 1998 e 2000 da interventi di scavo archeologico. Alcuni indizi (tipo di materiali rinvenuti, menhirs rinvenuti nell’ingresso) suggerirebbero l’origine abitativa della Grotta I e la funzione cultuale e funeraria della Grotta II.
L’indagine archeologica ha dimostrato una frequentazione del sito a partire dal V millennio a.C. fino all’età contemporanea. I materiali rinvenuti si riferiscono, infatti, ad aspetti cronologici pertinenti alle fasi cardiali del Neolitico Antico, all’età punica, romana, medievale, moderna, contemporanea. Allo stato attuale delle ricerche niente sembrerebbe rivolto alle fasi protostoriche locali.
IL CARSISMO NEL COMUNE DI VILLAPUTZU (SARRABUS – SARDEGNA SUD ORIENTALE)
Antonio Trogu*, Lavinia Congiu**
Gruppo Speleo Archeologico “Giovanni Spano”, Via Sassari 73, 09127 Cagliari.
* E-mail: antoniotrogu@interfree.it
** E-mail: lavinia.kirra@tiscalinet.it
Da alcuni anni alcuni soci del G.S.A.G.S. hanno focalizzato la propria attenzione sull’esplorazione e studio dei sistemi carsici ricadenti nel Comune di Villaputzu (CA).
Infatti benché questo comune non sia mai alla ribalta delle cronache speleologiche, non bisogna dimenticare che il suo territorio comprende una vasta ed interessante area carsica; il Salto di Quirra, costituito in gran parte da “calcari” eocenici, e nel quale si trova il sistema carsico di Is Angurtidorgius che, con le due grotte di S’Angurtidorgiu e S’Angurtidorgeddu, supera i 10.000 metri di sviluppo.
Ma oltre a questo complesso carsico (che ospita anche altre grotte più piccole), nel comune di Villaputzu si trova anche il complesso carsico del Monte del Castello di Quirra, costituito prevalentemente da marmi paleozoici, nel quale si contano diverse cavità; dai ripari sotto roccia a grotte di 100 m di sviluppo.
Le ricerche in quest’area hanno portato alla scoperta di una nuova cavità accatastata come “Grotta di Sa Conca ‘e sa Perda” o “Grotta Grande del Castello di Quirra” (Grotta Tyson), che raggiunge i 280 m di sviluppo.
SABATO 24 NOVEMBRE 2001
Ore 15:00
Evoluzione speleogenetica della SA/CA 218 Grotta dei Fiori (Carbonia – Sardegna SW).
Rita Melis, Maria Rita Palombo, Claudia Bedetti, Patrizia Fenza, Marco Pavia, Alessio Mureddu, Mauro Villani
Ore 15:20
Geomorfologia carsica ipogea ed epigea nella zona di Su Canale (Baunei, Sardegna centro-orientale).
Jo De Waele
Ore 15:40
Il carsismo Messiniano in Sardegna. Prospettive per la ricerca d’acque profonde.
Giuliano Perna, Francesco Murgia
Ore 16:00
Colorazioni con fluoresceina nel Supramonte: esperienze e considerazioni.
Franco Bandiera, Antonello Cossu, Michele Fois, Laura Sanna, Salvatore Cabras, Sebastiano Cabras, Antonio Murru, Franco Murru
Ore 16:20
La Sorgente di Su Cologone: rapporti tra carsismo ed idrogeologia.
Francesco Sanna, Antonio Vernier, Bartolomeo Vigna
Ore 17:00
Forme per precipitazione interstiziale.
Sergio Sarigu
Ore 17:20
Classificazione preliminare delle cavità paracarsiche e pseudocarsiche in Sardegna.
Giuseppe Piras
Ore 17:40
Il sistema di San Giovanni su Anzu: carsismo ed idrogeologia.
Attilio Eusebio, Leo Fancello e Bartolomeo Vigna
Ore 18:00
Esplorazioni nel complesso di “sa Rutta e s’Edera” (Urzulei – NU).
Andrea Scano
EVOLUZIONE SPELEOGENETICA DELLA SA/CA 218 GROTTA DEI FIORI (CARBONIA – SARDEGNA SUD-OCCIDENTALE)
Rita Melis*, Maria Rita Palombo**, Claudia Bedetti**, Patrizia Fenza***, Marco Pavia****, Alessio Mureddu*****, Mauro Villani*****
*Dipartimento di Scienze della Terra, Via Trentino 51 – 09127 Cagliari.
E-mail: mtmelis@unica.it
**Dipartimento di Scienze della Terra, Università “La Sapienza” Roma.
E-mail: mariarita.palombo@uniroma1.it ; claudia.bedetti@uniroma1.it
*** via 2 Giugno, 7 – Oristano
**** Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino, Via Accademia delle Scienze 5, 10123 Torino. E-mail: pavia@dst.unito.it
***** Gruppo Ricerche Speleologiche “E. A. Martel” Carbonia – Museo Civico di Paleontologia e Speleologia “E.A. Martel” Carbonia, Via Campania-09013 Carbonia.
E-mail: mauvil@tiscalinet.it
I calcari del Cambriano, affioranti nell’area di Carbonia, sono interessati da un intenso carsismo profondo, che ha dato origine a numerose cavità di particolare interesse speleologico e didattico ambientale.
Al fine di apportare maggiori conoscenze sull’evoluzione carsica della Sardegna sud-occidentale, è stato intrapreso uno studio speleo-genetico della Sa/Ca 218 Grotta dei Fiori , vasta cavità ad andamento prevalentemente sub-orizzontale ubicata lungo la valle del Rio Cannas nel comune di Carbonia.
L’evoluzione della Grotta dei Fiori è stata assai complessa, a causa del lungo arco di tempo in cui si è potuta esplicare. Tale processo si è manifestato in vari cicli speleogenetici, che hanno dato origine ad ambienti differenti che sono stati successivamente interessati da fenomeni di riempimento, svuotamento e demolizione.
Un fattore determinante nel controllo dello sviluppo delle cavità è stato quello geologico-strutturale.
L’analisi dei sedimenti interni delle cavità, ha rappresentato lo strumento principale per la ricostruzione delle fasi evolutive più recenti del Pleistocene ed una loro interpretazione in chiave paleoclimatica. I risultati dell’analisi della microfauna, rinvenuta nei diversi livelli fossiliferi, ampliano le conoscenze sulle specie endemiche del massiccio sardo-corso.
I resti di avifauna trovati nei sedimenti della Grotta dei Fiori sono scarsi; tra le specie rinvenute prevalgono quelle che indicano un ambiente di falesia, con alternanza di zone aperte. La presenza di Cicogna nera, con resti di individui non ancora capaci di volare, suggerisce un paesaggio con zone boscose ed un reticolo idrografico superficiale, utilizzato come risorsa trofica.
Il lavoro è completato dalla presentazione del rilievo topografico aggiornato e dalla descrizione dell’intera cavità.
GEOMORFOLOGIA CARSICA IPOGEA ED EPIGEA NELLA ZONA DI SU CANALE (BAUNEI, SARDEGNA CENTRO-ORIENTALE)
Jo De Waele
Dipartimento di Scienze della Terra, Via Trentino 51 – 09127 Cagliari.
E-mail: geoam@unica.it
Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano Cagliari, Via Sassari 73 – 09124 Cagliari
Recenti indagini speleologiche hanno profondamente migliorato le conoscenze della zona di Su Canale, in agro di Baunei, da sempre meta di esplorazioni da parte di gruppi sardi e non. Grazie ad una fortuita scoperta effettuata nei primi giorni del 2001 da alcuni speleologi del Gruppo Speleo-Archeologico Giovanni Spano, dell’Unione Speleologica Cagliaritana e del Groupe Ulysse Spéléo de Lyon (Francia) quest’area è velocemente diventata la più importante di tutto il Supramonte Baunese.
Situata ad una quota poco inferiore ai 1000 metri s.l.m. questa zona costituisce un’estesa area di assorbimento delle acque autoctone ed alloctone. I numerosi inghiottitoi confluiscono presumibilmente in un unico collettore ipogeo che sembra far capo alla risorgente sottomarina del Bel Torrente, poco a Nord di Sisine, costituendo quindi un sistema parallelo a quello della Codula Ilune, poco distante. Questa teoria accresce ulteriormente l’importanza delle scoperte fatte negli ultimi mesi e potrebbe essere avvalorata soltanto attraverso l’individuazione del collettore oppure mediante colorazioni in periodi di massima piovosità.
In questo lavoro l’Autore illustrerà lo stato delle conoscenze speleologiche insieme ad un quadro geomorfologico e speleogenetico.
IL CARSISMO MESSINIANO IN SARDEGNA. PROSPETTIVE PER LA RICERCA D’ACQUE PROFONDE.
Francesco Murgia, Giuliano Perna
Società Speleologica Italiana, Via Zamboni 67 – 40122 Bologna.
E-mail: rainman133@hotmail.com
Di recente è stata avanzata l’ipotesi di un carsismo molto profondo (livello base 1-2 km sotto il livello attuale del mare) conseguente al drastico abbassamento del Mare Mediterraneo prodottosi nel Messiniano a causa dell’interruzione della connessione con l’Oceano Atlantico tra Spagna e Marocco (PERNA 1994, 1996). Lo studio si è basato sulle conoscenze acquisite nel corso degli studi idrogeologici svolti nell’ambito delle miniere di Pb-Zn dell’Iglesiente e di carbone del Sulcis. Inoltre sono stati presi in esame gli studi di telerilevamento condotti nell’area posta a Nord del Lago di Garda, correlati con dati tratti dalla bibliografia.
Evidenze di un carsismo molto profondo sembrano essere presenti in tutta l’area del Mediterraneo. Sulla base di queste analisi si apre un nuovo scenario di studi e ricerca in relazione a strutture acquifere carsiche profonde che possono risolvere molte problematiche concernenti le risorse idropotabili e geotermiche, di particolare interesse per l’isola di Sardegna per i paventati timori di crisi climatiche.
Gli AA descrivono sommariamente le situazioni presenti sia nella parte Sud occidentale sia Nord orientale della Sardegna.
Nell’Iglesiente si è ipotizzata la presenza di una ripetizione della serie cambrica (messa in evidenza da una ricerca sismica nella Valle di Iglesias) carsificata nel Messiniano e connessa alla falda superiore attraverso una faglia. Lungo questo carsismo profondo si è insinuata l’ingressione d’acque marine nelle miniere a Pb-Zn. Con la chiusura delle miniere e la conseguente risalita delle acque sarà possibile una prima verifica di tale ipotesi.
Nell’area Nord orientale le evidenze emergono dagli studi speleologici condotti nell’acquifero carsico presente sotto i Supramontes di Oliena, Orgosolo, Dorgali e Urzulei (MURGIA, 1998): tali analisi inducono ad ipotizzare che, anche in quest’area, sia presente una circolazione idrica di natura carsica molto profonda.
Colorazione con fluoresceina nel Supramonte: esperienze e considerazioni.
Franco Bandiera*, Antonello Cossu*, Michele Fois*, Laura Sanna*, Salvatore Cabras**, Sebastiano Cabras**, Antonio Murru**, Franco Murru**.
* Gruppo Speleologico Ambientale Sassari. E-mail: frbandi@tin.it
** Gruppo Archeo Speleo Ambientale Urzulei. E-mail: salvacabra@tiscalinet.it
Grazie all’osservazione diretta all’interno dei massicci carsici, la ricerca speleologica consente di raccogliere informazioni importanti nello studio del territorio. L’esperienza da noi condotta riguarda l’area del Supramonte (Sardegna centro-orientale) compresa nei comuni di Urzulei, Orgosolo, Oliena e Dorgali, un ampio altipiano calcareo delimitato da imponenti pareti strapiombanti, inciso da profonde gole e depressioni, costellato da isolate guglie: un insieme svariato di forme, caratterizzato dall’assenza di un’idrografia superficiale permanente e da un complesso reticolo di drenaggio sotterraneo. L’obbiettivo del nostro studio è stato proprio quello di aggiungere un nuovo tassello alla comprensione di questo intricato sistema carsico. La colorazione con fluoresceina del torrente ipogeo di Sa Rutta ‘e S’Edera ha permesso un’importante scoperta: in contrasto con tutte le ipotesi da tempo formulate, questo fiume sotterraneo viaggia per 21 km (in linea d’aria) fino alla risorgente di Su Gologone attraversando il Supramonte da Sud a Nord, con un tempo di rilascio di circa 70 giorni ed una velocità di deflusso di 300 metri al giorno. Questo tipo di risposta, fa dedurre la presenza di un vasto bacino di immagazzinamento idrico sotterraneo, nel quale le acque tracciate convergono come in un lago, per poi essere rilasciate assai diluite nella concentrazione e nel tempo. Qual è il loro percorso? Nel loro defluire seguono la superficie impermeabile del basamento paleozoico, uno zoccolo dalla morfologia a gradoni in cui le coperture mesozoiche, scollate e deformate, determinano la direzione orizzontale del collettore. Considerando che in condizioni di magra si ha persistente negatività alla grotta G. Sardu ed alla risorgente di Gorropu, e che alla confluenza di Sa Giuntura i litotipi cretacei affiorano come basso strutturale, si può ipotizzare la presenza di una barriera lungo la linea di scorrimento S’Edera-Gorropu, in corrispondenza della quale staziona l’acquifero. Proseguendo verso nord, dall’analisi delle quote e degli spessori sedimentari appare chiaro che il sistema idrico sotterraneo segua i dislivelli negativi dello zoccolo, per riemergere a valle con un tragitto ancora da definire. Queste considerazioni ci obbligano a porci delle domande: da dove arriva l’acqua della risorgente di Gorropu? E’ un sistema di sovrappieno o ha solo una zona di alimentazione indipendente? Il complesso Su Bentu-Sa Oche è la parte superficiale del collettore o è un suo immissario? E la dolina di Su Sercone? … e tante altre che possono trovare risposte solo con indagini supplementari.
LE SORGENTI DI SU GOLOGONE NEL CONTESTO DELL’IDROSTRUTTURA CARBONATICA DEL SUPRAMONTE : RAPPORTI TRA CARSISMO ED IDROGEOLOGIA.
Francesco Sanna*, Antonio Vernier**, Bartolomeo Vigna***
* Collaboratore Dipartimento Ingegneria del Territorio – Sezione Geologia Applicata e Geofisica Applicata – Università di Cagliari. E-mail: francesco.sann@tiscalinet.it
** Dipartimento Ingegneria del Territorio – Sezione Geologia Applicata e Geofisica Applicata – Università di Cagliari. E-mail: avernier@unica.it
*** Dipartimento Georisorse e Territorio Politecnico di Torino.
E-mail: bvigna@athena.polito.it
Le sorgenti di Su Gologone, ubicate in agro del comune di Oliena, lungo la sponda destra del Fiume Cedrino, ad una quota di circa 103 m s.l.m., costituiscono le più importanti sorgenti carsiche della Sardegna centro settentrionale.
Esse sono alimentate dall’idrostruttura carbonatica del “Supramonte di Orgosolo-Oliena-Urzulei”, che alimenta anche le sorgenti di Gorropu (350 m. s.l.m.), San Pantaleo (98 m. s.l.m.) e Su Tippari (100 s.l.m.).
Il bacino idrogeologico del Supramonte si estende per circa 170 Kmq e comprende sia terreni carbonatici, calcareo dolomitici, altamente permeabili per carsismo e fessurazione, sia terreni cristallini paleozoici, di natura scistosa, poco o nulla permeabili.
L’esistenza delle sorgenti citate, nell’ambito dell’intera idrostruttura del Supramonte, è riconducibile a diverse cause, fra le quali va menzionata la geometria di confinamento tra il basamento cristallino e l’acquifero carbonatico.
Gli studi sinora pubblicati sull’idrogeologia del Supramonte riguardano la definizione del suo assetto geo-idrostrutturale (Sanna & Vernier 1993) e i lineamenti speleologici della porzione più meridionale dello stesso (Assorgia et alii 1967), mentre risultano inesistenti quelli relativi ad una precisa quantificazione delle risorse idriche ivi immagazzinate.
Al fine di acquisire nuovi dati sull’idrogeologia di questa importante area carsica della Sardegna centro-orientale, nell’ottobre del 1994, l’emergenza principale di Su Gologone (la cosiddetta “Vena Manna”) è stata attrezzata con un’asta idrometrica che ha consentito la misura giornaliera dei livelli piezometrici per un intero anno idrologico. Nell’arco dello stesso anno, con l’ausilio di un mulinello idraulico, sono state anche eseguite diverse misure che hanno consentito di stimare le portate della sorgente, specialmente nei periodi di ricarica dell’acquifero.
Dall’analisi degli idrogrammi piezometrici è emerso che nella sorgente, in occasione di importanti precipitazioni, si manifestano aumenti molto repentini di portata, con picchi che raggiungono circa 8000 l/s, come risulta dalle misure effettuate durante un evento verificatosi nel dicembre del 1994.
Oscillazioni di minore entità dei livelli piezometrici, ma altrettanto repentine, sono state osservate anche in occasione di eventi pluviometrici relativamente poco consistenti, come quelli avvenuti durante la stagione estiva del 1995.
Dal confronto fra apporti pluviometrici e variazione dei suddetti livelli piezometrici è emerso che, al cessare dell’infiltrazione, la curva di svuotamento presenta dapprima un decremento rapido e poi un esaurimento molto più graduale, al termine del quale si registrano portate di magra quantificabili intorno ai 200 l/s.
Tale comportamento impulsivo della sorgente avvalora la tesi di un’articolazione complessa del relativo sistema carsico, che risulterebbe caratterizzato, nelle zone marginali della struttura, dalla presenza di importanti collettori, in grado di portare rapidamente le acque superficiali verso le zone più profonde del sistema, e nella parte terminale, dall’esistenza di una rete a pieno carico che costituisce un’importante riserva idrica alimentante le sorgenti anche in seguito a lunghi periodi interessati dalla totale assenza di precipitazioni.
Tale ipotesi trova ulteriore conferma nei risultati delle esplorazioni speleologiche condotte nelle cavità carsiche, non soltanto più vicine a Su Gologone (grotta del Guano, Peppino Ladu, Su Bentu-Sa Oche-Sas Ballas), ma anche in quelle più distanti, che costituiscono i complessi speleologici dell’ “Edera” e “Luigi Donini”.
Mentre nei sifoni terminali delle cavità carsiche del settore più settentrionale del Supramonte si rilevano infatti livelli piezometrici di poco superiori alla quota di Su Gologone, San Pantaleo e Su Tippari, nelle grotte situate più a monte il circuito idrico è caratterizzato dall’esistenza di torrenti sotterranei, con portate molto variabili in relazione agli apporti pluviometrici stagionali, impostati in corrispondenza di limiti di permeabilità ed ubicati a quote molto più elevate rispetto al livello della falda di base.
FORME PER PRECIPITAZIONE INTERSTIZIALE
Sergio Sarigu
Società Speleologica Italiana. E-mail: sesarigu@tin.it
Nella grotta di Su Mannau (Fluminimaggiore) si trovano numerosi corpi sedimentari che testimoniano parte delle sue fasi evolutive.
La loro formazione si deve sia ad accatastamenti per crollo, come nel caso del salone Ribaldone, caratterizzato dalla presenza di monoliti che hanno dimensioni ultra metriche, sia a depositi per scorrimento. In quest’ultimo caso, la granulometria del sedimento non supera la dimensione della sabbia. All’interno di questi corpi fini si sono generate delle forme correlate di sedimenti concrezionati.
Si tratta di forme molto regolari, discoidali o sferiche che in alcuni casi si compenetrano a generare forme complesse, in altri casi sono collegate da segmenti rettilinei, d’identica genesi, o dipartono direttamente dalle pareti degli ambienti ipogei. L’intervento proposto è da considerare come il primo contributo allo studio di queste particolari forme concrezionali.
La ricerca proposta comporta la descrizione morfo-metrico e strutturale sia dei corpi sedimentari sia delle forme ivi rinvenute. Alcuni campioni significativi sono stati sezionati allo scopo di studiare la loro struttura interna.
Sulla scorta dei risultati derivanti dalle ricerche di cui sopra, viene poi proposta una possibile genesi per queste forme correlate.
Lo scrivente propone inoltre, un nome specifico per questa particolare formazione, definendole: forme per precipitazione interstiziale.
CLASSIFICAZIONE PRELIMINARE DELLE CAVITÀ PARACARSICHE E PSEUDOCARSICHE IN SARDEGNA.
Giuseppe Piras
Dipartimento di Scienze della Terra, Via Trentino 51 – 09127 Cagliari.
Centro Studi Ipogei “Specus”, Cagliari – Via Santa Gilla 115, 09127 Cagliari.
Nel territorio della Sardegna (ricco di grotte di origine carsica) esistono una discreta varietà di cavità la cui origine è riconducibile al disfacimento meteorico ed a fenomeni di denudazione della roccia, nonché a processi definiti genericamente col termine “pseudocarsici”, ossia differenti da quelli di corrosione e dissoluzione che avvengono prevalentemente in rocce carbonatiche e che, caratteristici di moltissimi tipi di rocce (magmatiche, sedimentarie, metamorfiche), danno luogo ad una grande diversità sia morfologica che genetica.
Tali forme hanno spesso un’origine poligenetica ed i principali fattori stimolanti il loro sviluppo sono in genere strettamente legati alle caratteristiche litologiche ed ai processi di denudazione post-diagenetica.
I processi fondamentali che portano alla formazione di queste morfosculture sono, infatti, diversi; l’origine della maggior parte di esse è legata all’azione degli agenti esogeni, quali l’acqua, il vento, l’insolazione e il gelo.
In particolare, la presenza di piani di fessurazione, fratture e diaclasi, preferenziali per lo scorrimento delle soluzioni acquose, favoriscono i processi di disfacimento meteorico e la formazione ed evoluzione di forme cave all’interno della roccia.
Con la presente nota viene proposta una classificazione tipologica preliminare, svolta essenzialmente su base genetica, delle cavità pseudocarsiche esistenti in Sardegna.
Oltre a metterne in luce i caratteri genetici intrinseci, le peculiarità, l’importanza e lo stato di conservazione, verranno evidenziate anche le forme di utilizzazione a cui sono generalmente soggette, unitamente allo spazio circostante, lo stato di vulnerabilità, i pericoli e le minacce e altre informazioni utili al fine di poter avanzare proposte di conservazione e valorizzazione.
IL SISTEMA DI S. GIOVANNI SU ANZU: CARSISMO ED IDROGEOLOGIA
Attilio Eusebio*, Leo Fancello**, Bartolomeo Vigna ***
* Gruppo Speleologico Piemontese CAI/UGET, Galleria Subalpina 40, Torino.
** Gruppo Ricerche Ambientali Dorgali, Via Toscana 1, 08022 Dorgali.
E-mail: leofancello@tiscalinet.it
*** Dipartimento Georisorse e Territorio Politecnico di Torino.
E-mail: bvigna@athena.polito.it
Il sistema carsico di S. Giovanni Su Anzu, con uno sviluppo topografato di 14320 metri, oltre ad essere una delle grotte più estese e belle della Sardegna, rappresenta uno dei più significativi esempi di interazione tra una circolazione sotterranea di un acquifero carbonatico e quella di una adiacente struttura acquifera impostata in rocce basaltiche.
Nel lavoro, dopo un breve riassunto sulle esplorazioni condotte in questo sistema negli ultimi anni da speleologi piemontesi e sardi, si descrive il complesso carsico principale costituito da una serie di ampie e concrezionate gallerie fossili, sovrastanti un articolato reticolo di gallerie attive. Le interessanti morfologie che si osservano nella cavità suggeriscono una evoluzione del carsismo profondo piuttosto complessa, caratterizzata da più fasi e condizionata, in modo particolare, dagli espandimenti lavici verificatisi, nell’ampio settore degli altopiani del Gollei, in un periodo compreso tra 3.5 e 2.7 milioni di anni. Tali basalti hanno ricoperto in gran parte la struttura carbonatica, lasciando isolato l’edificio del M.te S. Ospile che ospita il complesso di S. Giovanni Su Anzu. La scoperta, nel tratto più a monte della cavità, di lave che hanno in parte colmato i condotti carsici, evidenzia, come osservato in altri sistemi nel golfo di Orosei, l’esistenza di un carsismo già sviluppato durante il Pliocene. Queste effusioni laviche hanno sicuramente stravolto la circolazione carsica preesistente modificando pesantemente l’idrodinamica del sistema e la geochimica delle acque. I mutamenti relativi all’assetto morfologico e le complesse reazioni chimico-fisiche che si verificarono durante la messa in posto delle lave e nel periodo successivo, influenzarono sicuramente lo sviluppo del carsismo profondo con la formazione di una rete carsica, a pieno carico, caratterizzata da condotti di notevoli dimensioni. Successivamente l’approfondimento del reticolo fluviale ha condizionato il ringiovanimento dell’intero sistema, con una circolazione sotterranea non più in pressione ma impostata in forre e meandri che si sono approfonditi per oltre una decina di metri, fino al livello attuale.
Sulla base delle esplorazioni, dei dati idrodinamici e geochimici, risulta che il sistema carsico è alimentato, nei periodi di magra, da travasi provenienti dall’acquifero presente nelle lave. Numerosi sono infatti i condotti carsici attivi che si sviluppano fino ad incontrare i basalti che delimitano la struttura carbonatica. La portata, anche in seguito a lunghi periodi in assenza di precipitazione, si mantiene elevata, intorno ai 30-40 l/s, per il continuo e costante apporto proveniente dalle vulcaniti fratturate. Anche alcuni parametri chimici delle acque, come i nitrati, i cloruri ed i solfati, in tenori piuttosto elevati, evidenziano il contributo proveniente dalle aree vulcaniche che hanno una morfologia piuttosto piatta e sono relativamente antropizzate con numerose fonti di inquinamento. Numerosi sono i cascinali con pozzi perdenti e gli allevamenti ubicati in queste aree; mentre, la struttura carsica, con una morfologia molto accidentata e ricoperta da una folta macchia mediterranea, risulta essere del tutto priva di carichi inquinanti.
In occasione di importanti precipitazioni, le portate del sistema aumentano notevolmente, per il contributo proveniente dalla struttura carsica e dalle acque di ruscellamento superficiale intercettate da una serie di inghiottitoi ubicati sul contatto tra i calcari ed i basalti.
ESPLORAZIONI NEL COMPLESSO DI “SA RUTTA E S’EDERA” (URZULEI – NU)
Andrea Scano
Gruppo Grotte Cagliari CAI, Via Piccioni 13, 09100 Cagliari.
E-mail: a.pabedda@tiscalinet.it
L’importanza di “Sa Rutta e s’Edera” quale punto di assorbimento e collettore del Supramonte di Urzulei, venne intuito dai primi speleologi che, a metà degli anni “60, studiarono la cavità, rilevandola per 2795 metri. Le loro ricerche si arrestarono davanti a quella che ancor oggi è considerata “la frana terminale”, un caotico ammasso di grossi blocchi che ha spento gli entusiasmi anche di molti fra i successivi esploratori.
Negli anni “90 il GGC CAI ha intrapreso un sistematico lavoro di esplorazione, puntando principalmente alla ricerca di possibili prosecuzioni in zone diverse dalla frana terminale, anche con l’intento di raggiungere un livello superiore di gallerie che consentissero di bypassare la frana stessa. Tale lavoro ha dato i suoi frutti, consentendo di raggiungere un reticolo di gallerie e ambienti anche molto vasti (quali per esempio il “Salone Gianmichele” o la “Sala da the”, di dimensioni veramente ragguardevoli), facendo si che lo sviluppo attualmente rilevato sia di 6,5 Km circa.
Non si è ancora riusciti a raggiungere il collettore a valle della fatidica “frana terminale”, però la presenza delle nuove gallerie, situate ad un livello superiore (dai 20 ai 50 metri in media), lascia intravedere questa possibilità come non molto remota.
Le colorazioni effettuate dalla Federazione Speleologica Sarda hanno dimostrato in maniera inequivocabile il collegamento di S’Edera con la risorgente di Su Gologone, presso Oliena, distante in linea d’aria circa 25 Km: è evidente che ci si trova davanti ad un complesso di enormi proporzioni, e del quale sinora si è riusciti a mettere in evidenza soltanto una minima parte.
Le prospettive sono quindi molto interessanti, anche perché nei rami nuovi sono stati rinvenuti ambienti relativamente asciutti e confortevoli che rendono agevole l’effettuazione di campi interni, per mezzo dei quali diventa possibile proseguire l’esplorazione nelle parti più interne della cavità.
Possiamo quindi considerarci all’inizio di una lunga campagna esplorativa all’interno di quello che pare essere il maggiore sistema sotterraneo del Supramonte.
Categoria: Eventi, Primo Piano