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Cronaca di un’Odissea in un pozzo: quando Ulisse è uno speleologo

ATTIVITA’: Grotta
DATA: 13-05-2006
COMUNE: Domusnovas
LOCALITA’:   Barrasciutta
CAVITA’, GOLA O SENTIERO:  Le Felci
ORGANIZZATORE   DELL’USCITA:  Riccardo Mascia
PARTECIPANTI E GRUPPI DI APPARTENENZA: Riccardo Mascia, Barbara Mascia, Sadia Minichini, Tore Liggio, Valeria Ritzu, Angelo Vigo, Michela Muggironi, Anett, del GSAGS; Andrea Gaviano, Giulio Loi, Tonio, dello SPECUS.

Barbara mi propone Le Felci ed io, guidato da insolito destino, accetto. Appuntamento alle 9.30 nei pressi di Sa Crovassa. Io, Michela Muggironi e Tore Liggio arriviamo con largo anticipo (9.05) mentre il resto del gruppo ci raggiunge con un po’ di ritardo probabilmente a causa dei fumi dell’alcol distribuito in maniera assai generosa durante i bagordi della precedente nottata di Ingrottiamoci. Si tratta di un gruppetto misto, composto in parte da Spanotti (Barbara,Valeria, Sadia, Riccardo e Anett, spanotta adottiva) ed in parte da membri dello Specus (Andrea Gaviano, Tonio e Giulio).
Ci siamo tutti? Ok, pronti, via. No, un attimo… Dov’è l’ingresso del pozzo? Riccardo, l’unico che si è già calato nella grotta e dovrebbe conoscerne l’ubicazione, insiste nella ricerca lungo strada di un “grosso masso con un punto rosso”: tutti fissiamo lo sguardo sul ciglio della polverosa strada bianca, ma di massi enormi nessuna traccia. Tanto meno di punti rossi. O meglio, il punto rosso c’è ma campeggia beffardo su un sasso poco più grande di un ciottolo. Va beh, scherzi della memoria, l’importante è aver raggiunto la meta. La seconda, assai più grave, sorpresa, la riceve il sottoscritto al momento di aprire la busta contenente l’attrezzatura: non l’ho lavata eppure la ritrovo pulita, linda, perfetta… peccato che il furbacchione che credeva di farmi un favore si sia anche prodigato nello sciogliere TUTTI i nodi di longe, pedalina e sicura! Posso solo ringraziare il cielo che Kroll e Maniglia non siano facilmente smontabili! Ricostruire pedalina e sicura è semplice, lo è assai meno rigenerare due longe degne di questo nome da un moncherino di corda che a stento consente di ottenerne una lunga (troppo, come avrò modo di accorgermi dopo). Risolto il problema  raggiungiamo l’imboccatura non senza prima aver attraversato la fitta boscaglia che ci separa dall’ingresso posto a mezza costa di un ripido versante, su uno specchio di roccia glabro ed abbondantemente irraggiato da un cocente sole primaverile.
Il primo a calarsi è Riccardo, l’unico del gruppo ad avere già armato il pozzo, profondo all’incirca 70 metri: utilizzando una corda da 100 (necessaria per i 7 frazionamenti), realizza un piccolo coniglio a monte dell’ingresso e subito un frazionamento in corrispondenza dell’imboccatura. Il resto non lo vedo perché un aromatico cespuglio di rosmarino mi offre riparo dal sole diventato ormai insopportabile, favorendo un temporaneo letargo. Mi risveglio al momento di entrare (circa le 12.15) e, a dire la verità, non ne ho più tanta voglia! Ma l’orgoglio scalpita, soprattutto in risposta ai feroci attacchi di Barbara che non perde occasione di ironizzare sui chili acquistati nell’ultimo anno: io ed il mio sovrappeso ci caliamo superando con disinvoltura il primo frazionamento, prima di stazionare sul secondo, posto al termine di una breve discenderia, su una fettuccia fissata alla volta. L’unico problema è quella longe deforme che si allunga oltre l’ansa impedendomi di scaricare il discensore. Ma il terrazzino offre un comodo appoggio e posso compiere la manovra con facilità. Scoprirò a mie spese che dopo non sarà così!
Mi calo verso il terzo frazionamento, questa volta quasi sul vuoto mentre la bombola fa i capricci e mi lascia costantemente al buio; riesco comunque ad allongiarmi ma prima di entrare in carico scendo di mezzo metro! Il discensore non si scarica, sono al buio e l’unica cosa che vedo sono le luci fioche dei compagni che mi hanno preceduto, 50 metri più in basso!! E’ il panico! Sputo bestemmie mai pronunciate in vita mia e, nel frattempo, cerco di ragionare: devo tirarmi su in qualche modo… mi ricordo che Valerietta per ovviare ad un problema simile ha usato la maniglia. L’idea funziona solo che l’ho fissata troppo in alto e la sicura va in carico prima del discensore. Riesco a darmi forza imprecando, stavolta in Aramaico antico: mi tiro su tenendomi al nodo (!), sgancio la maniglia e in successione la longe. Sono libero. Troppo libero! Non ho passato la corda nel rinvio e appena disfo la chiave precipito verso il basso con un’accelerazione mostruosa: spinto dal terrore riesco a fare una mezza chiave d’emergenza stringendola sino a stritolare il discensore ormai incandescente. Passo quella merda di corda nel rinvio, faccio la chiave e mi fermo un minuto per cercare di capire se il mio sfintere tornerà mai alle sue dimensioni originali! Un brivido mi percorre la schiena. Riprendo a scendere lentamente. Molto lentamente. Praticamente sono fermo! Da sotto (e anche da sopra) mi incalzano senza pietà, ma io ho deciso di andare PIANO. I successivi frazionamenti passano via abbastanza lisci, specie gli ultimi due, facilmente abbordabili grazie al terrazzino che consente di stare tranquillamente sulle proprie gambe.
Raggiungo il gruppetto assiepato alla base del pozzo, in una sala modesta. Devono avere intuito qualcosa perché mi guardano interrogativi e preoccupati: cerco di sdrammatizzare con battute maldestre e atteggiamenti di superiorità ma un volto cereo e sudaticcio parla più di mille parole. E tra poco si risale (sic!).
La risalita comincia male, col primo frazionamento che mi costringe a faticose evoluzioni sul vuoto mentre Barbara, in maniera graziosamente “inopportuna”, mi rimprovera l’eccessivo dispendio di energie. Sarà profetica (o malaugurante, fate voi!). Frattanto, Michela, che mi aveva preceduto, presa da furia arrampicatrice parte in quarta e scompare nel buio del budello.
In risalita i frazionamenti sul vuoto, con una longe così lunga, sono debilitanti: rimango appeso come un sacco, ciondolando nel vuoto, mentre per scaricare il kroll devo compiere una serie di manovre aggiuntive per lo più casuali, per passarvi la corda a monte sono costretto ad appendermi all’ansa tirandola letteralmente dentro di esso! Ormai la lucidità è un lontano ricordo, ansimo, sbuffo, ho sete, voglio uscire dal quello schifo di buco!
Dulcis in fundo, la corda scorre pochissimo, per cui sono costretto ad “estrarla” dal Kroll (oramai animatosi di vita propria) ora col braccio destro, ora col sinistro: è sfiancante e l’uscita sembra non arrivare mai. Ogni pedalata è sempre più faticosa e più lenta della precedente e gli altri eroi che mi seguono, partiti tutti insieme a ritmo di samba, si trovano bloccati in una pietosa marcia funebre, ognuno ad un frazionamento, in attesa che il sottoscritto si decida a sgomberare i binari.
Frattanto i miei movimenti sono diventati casuali e frutto di totale improvvisazione, grazie anche all’immane groviglio in cui si sono caparbiamente annodati longe, sicura di maniglia, kroll e corda. Per darmi coraggio penso alla carne ed al buon vino che mi attendono fuori e mi dico che in fondo ho fatto anche i 160 metri di “Su Fenu Trainu”. Già, soltanto tredici chili fa!
Il tratto compreso tra il terzultimo e penultimo frazionamento è il peggiore: ormai non respiro più, schiumo!! Nella mia mente ottenebrata riecheggia a piene note il tema di “Momenti di gloria” e mi muovo come se avessi attraversato a piedi tutto il Sahara. Ed ho la stessa sete!
Arrivo al penultimo frazionamento, quello sulla fettuccia, e vedo le facce di Tonio e Michela che dall’esterno mi incoraggiano come si fa con i bambini alla loro prima maratona scolastica: fanno battute, cercano di sollevarmi il morale, ma l’unica cosa che andrebbe sollevata è il mio corpo. Con un paranco.
Ormai il peggio è passato e vedere l’imboccatura mi permette di dare fondo alle ultime fievoli energie, prima di ritrovarmi sdraiato sulla roccia, ormai in apnea, mentre Michela si sincera delle mie condizioni. Sono fuori quindi va tutto bene, ma per un po’ di tempo credo che eviterò i pozzi.
Sic transit gloria mundi.

Categoria: Attività, Speleologia

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